Vent'anni di lavoro per edificare la nuova parrocchiale
pubblicato il: 01/09/2009
da: Memorie illustri di palazzolo sull'oglio
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Vent'anni di lavoro per edificare la nuova parrocchiale

Guardando la nuova parrocchiale

Da bambino passavo molte ore in parrocchia come chierichetto. Ogni mattina c’erano due o più uffici per i defunti e così imparai a cantare in coro con chierici e preti. Tutte le preghiere erano in latino e i canti in gregoriano.

Seguivo l’andirivieni del sagrista Angilì Barbò, mio cugino per via della madre Cecilia Ghidotti.

Una mattina, in cui doveva stendere i paramenti lungo il transetto, mi propose di aiutarlo a portare alcuni pezzi di tessuto rosso.

Arrivati nel settotetto mi persuase ad affacciarmi dal cornicione che sovrasta gli altari del Crocifisso e dei Santi.

Mi venne un colpo, ebbi veramente paura di cadere. Ma Angilì mi prese per mano e così mi appostai rasente la parete.

Come erano cambiate le dimensioni della chiesa, vista da lassù! Come apparivano nella vera grandezza i finestroni e le lettere in bronzo che ornano il cornicione ! E lo spazio delle navate,grandioso come la tolda di una nave.

E gli angeli e i putti dell’altare del Crocefisso: enormi.

Sempre da fanciullo mi venne concesso di salire sulle impalcature che dal pavimento raggiungevano la cupola, anno 1938, dove il pittore Galizzi di Bergamo stava affrescando le beatitudini evangeliche. Erano di una grandezza esagerata! I quattro Evangelisti degli spicchi, anche loro giganteschi.

Ho aiutato per anni i giovani che eseguivano le straordinarie operazioni di pulitura effettuate utilizzando una scala-porta che raggiungeva la sommità degli altari laterali del transetto. Ci inerpicavamo con in mano una piccola lancia come quella dei pompieri e spruzzavamo dolcemente d’acqua angeli, putti, decorazioni che diventavano bianchissime.

Da lassù le colonne dell’altare dei Santi avevano un’altezza impressionante,così come i putti e gli angeli.

Quando sono in chiesa, nelle ore in cui è deserta, ripercorro mentalmente, quelle esperienze giovanili. E non posso fare a meno di continuare a meravigliarmi dell’armonia dell’edificio.

Introduzione

Nei trent’anni centrali del secolo XVIII°, i Palazzolesi sono impegnati in un’opera che, ancora oggi, desta la nostra ammirazione: la nuova chiesa parrocchiale.

Non sono dei “provinciali”, hanno rapporti culturali con Venezia, vi si recano per seguire le cause legali, hanno procuratori e conoscenze in Brescia, godono di un canale particolare per arrivare ad un architetto allora famoso, Massari, che aveva oltre sessant’anni .

A seguito di queste pressioni, senza poter vedere Palazzolo, seguendo le indicazioni dettagliate fornite da deliberazioni prese dai Palazzolesi, presenta due progetti: uno con colonne e l’altro con pilastri. E i Palazzolesi scelgono il secondo.

Il progetto non viene compiutamente realizzato, rimane incompiuta per molti anni la facciata, realizzata con altro progetto. Interventi sulle facciate laterali, per realizzare nicchie per nuovi altari, hanno modificato il primitivo impianto. Gli ultimi interventi degli anni 38-40 del secolo scorso, hanno cancellato la decorazione della cupola e gli stucchi delle pareti. Ma la bellezza dell’edificio è rimasta.

Voglio qui raccontare, coll’aiuto di chi c’era, ciò che di irripetibile è accaduto intorno a questo monumento. Nessun altro intervento moderno ha modificato così radicalmente la Platea Magna sive Mercati, e l’intorno della chiesa, spostando il centro antico dalla piazzetta della Pieve alle rive del fiume.

I testimoni oculari

Due sono i testimoni oculari della costruzione dell’edificio: don Benedetto Galignani (1708-1763) autore dell’ Istoria della fabbricazione e don Vincenzo Rosa (1750-1819),coetaneo della parrocchiale.

Don Benedetto muore a 54 anni il 16 giugno 1763. Fino a due mesi prima aveva continuato a scrivere, come aveva fatto per quindici anni, la sua Istoria/semplice, ma veridica/della fabbricazione della nuova, e/magnifica parochiale/archipresbiterale di / Palazzolo.

Don Vincenzo, nato nel 1750,coetaneo della nuova chiesa, scrive nelle sue Memorie: “Nella primavera del 1752 si era in Palazzolo cominciato a fabbricare quella grandiosa Chiesa Parrocchiale. La fabbricazione di questo gran tempio è durata circa sedici anni, cioè pressoché tutto il tempo della mia stessa crescita. Così questa fabbrica ed io crescevamo corrispondentemente. Io me ne ricordo quando i muri non erano alti che qualche uomo; e di molti mi ricordo di averne veduto scavare i fondamenti, precisamente dei due grandi pilastri primi e che sostengono la cupola. Mio zio Lodovico mi vi conduceva di spesso, essendone non lontana la nostra casa; e mi portava sin sopra i ponti dei muratori”.

Egli ebbe presso di sé, a Pavia, il manoscritto Galignani e nel 1813 lo ha “ mandato al suo natural padrone don Bortolo Galignani, nipote dell’autore, per mezzo del dott.Giovanni Pezzoni, già studente a Pavia”. Dell’Istoria si era servito per difendersi nel processo per l’uso dei banchi privati.

Abbandonare la vecchia

Il parroco don Giovanni Suardo, qui dal 1726, aveva inizialmente progettato di far ridipingere e indorare la vecchia pieve e aveva avvertito il popolo dell’iniziativa raccogliendo anche i primi finanziamenti.

Non tutti erano d’accordo. Anzi vi fu chi cercò di dissuaderlo dal suo”concepito disegno” e spronarlo” alla gloriosa impresa di far un’altra parrocchiale, più grande e più nobile, stante l’estrema necessità che abbiamo di quella, sì per provvedere al bisogno delle dottrine cristiane, stando molte maritate e figliole in quel tempo a casa con grande danno all’anima loro, non potendo entrar tutte nelle loro scuole, perché anguste e piccole, onde per rimediare a tanto male, altro partito non esservi che fabbricar una nuova chiesa, e poi racchiuder tutte le donne di ogni età nella Vecchia Parochiale, capace di tutte contenerle, e abbracciarle: sì perché la vecchia Parochiale capace non è di contener tutto il Popolo del Paese, a causa dei banchi, di cui va ripiena, ed occupata, massime nel tempo delle funzioni, e solennità, convenendovi gran copia di Forestieri; sì perché la vecchia è una chiesa antica, goffa, ed oscura, e tutto che ricca sia d'arredi sacri, paramenti e argenterie, pure far ella comparsa, perché fosca, e cupa.

Mancar solo a Palazzolo sì ragguardevole, e per il passaggio di tanti Foresti, e per il clero sì numeroso, e per la gran copia di Case Nobili, e Signorili, mancarli solo una nuova, grandiosa Parochiale, e doversi questa far all'esempio di tante Terre, sì Bresciane, come Bergamasche, quali, benché piccole, e povere, pure han fabbricato, o van fabbricando le loro proprie Parochiali, e belle, e proprie, come ogn'un può da se vedere; onde con tali, ed altre ragioni suggerite dalla loro buona intenzione, e volontà s'ingegnarono i predetti Religiosi d'indur il loro buon Pastore a metter mano a tal gloriosa impresa,

ma egli sorridendo, ripulsa diede alla saggia proposizione, asserendo, essere questa fatta a lui troppo tardi, essendo egli in età avanzato, e però incerto di vederla compiuta; che non era tanto facile il trovar un luogo proprio per l'impianto di quella, qual fosse di soddisfazione a tutti, e di comodo a tutte e tre le Quadre; che non v’eran danari; né lasciti per tal oggetto, e fine, onde per tali, ed altre difficoltà esser vana, ed inutile la buona intenzione di far una nuova Chiesa, e che però bisognava cercar di nobilitar la vecchia, e tenersi quella cara, già che non si era in stato di farne una nuova, e per eseguir il suo dissegno, era egli quasi a buon porto.

Qual risposta udita da religiosi, punto non si sgomentarono ché anzi procurarono di seminar per il Paese la lor pia proposizione, e trovar gente, che a quella aderisse, e gli fu facile trovar partito, e specialmente tra le persone sagge, e prudenti, tra i quali incontraron una persona originaria di petto, di voce, e d'autorità G.A.R., qual, concepita la necessità d'una nuova parrochiale per le addotte ragioni da sacerdoti, andò in persona dal Paroco, e intimolli, che a nome del Publico ritirarsi dovesse dal suo concepito dissegno, e che novità alcuna non facesse nella vecchia parrochiale, se prima la cosa approvata non fosse della Comunità con generale Vicinia, pensandosi da alcuni a nuova più gloriosa impresa, qual precetto fu con qualche amarezza dal parroco ricevuto, pure con prudenza l’impegno suo abbandonando, il raccolto denaro impiegò in altre opere spettanti alla sua chiesa”.

Gli oppositori non si stancano e propongono altre soluzioni: allungare la vecchia di un arco, trasportando il Palazzo Comunale nell’edificio della Piazza, dove c’è l’osteria, di proprietà comunale poi ampliare le finestre e demolire il volto elevandone il tetto. Ciò sarebbe costato meno, visto che per far la nuova sarebbero serviti subito 16 o 20.000 scudi.

Il progetto

Il conte Giorgio Duranti, per la confidenza che ha con Luigi Avogadro, prete all'Oratorio di Brescia, gli chiede di interporre i suoi buoni uffici presso l'architetto Massari di Venezia, che aveva progettato la chiesa della Pace di Brescia, “perché si degni di visitare Palazzolo, giudicare del luogo scelto e stendere il disegno della nuova chiesa”.

Come si sparge la voce che a Palazzolo si progetta una nuova chiesa, vengono in paese gli architetti Corbellini e Caniana e altri che visitano il luogo, prendono le misure e si offrono, ovviamente, di progettare il nuovo edificio.

Giunge intanto la risposta del Massari che si dice disposto ad accettare l'incarico, ma che per la sua età e per i suoi impegni non può venire a Palazzolo. Gli si conferma l'incarico inviandogli un primo acconto sul costo della prestazione professionale e una pianta del luogo, dove si intende collocare la nuova chiesa.

Il 24 gennaio 1750 viene spedita a Venezia non solo la pianta, ma anche una nota, nella quale vengono specificate le richieste dei Palazzolesi in ordine all'edificio da costruire, e cioè:

l) che abbia sette altari, 2) che abbia i posti per i confessionali, il Battistero, il pulpito, due cantorie e il coro, 3) che ci siano una sacristia e quattro camerini per confessare gli uomini, 4) che abbia tre porte, di cui una grande per lasciar passare il baldacchino, 5) che abbia tre navate, ma senza catino e lanterna.

Il Massari a queste precise richieste risponde che egli può fornire due soluzioni: una chiesa a una o a tre navate, però con catino e relativa lanterna. Su questo particolare il Massari è intransigente. La Congrega, riunitasi successivamente, sceglie la soluzione delle tre navate e, su questa indicazione, il Massari è invitato a presentare il suo progetto. Egli fa due proposte: una chiesa a tre navate con colonne o con pilastri. La soluzione di tre navate con pilastri è quella che riscuote l'approvazione degli esperti, architetti Girelli e Marchetti, e che viene accolta dai Palazzolesi. Così, quando arrivano i cinque fogli con i disegni, colorati e perfetti, tutti sono d'accordo nel lodare l'autore e si sentono impegnati a realizzare l'opera.

Gli architetti

Chi convince l’architetto Giorgio Massari a progettare la chiesa, è Luigi Avogadro,prete dell’Oratorio in Brescia, già soprintendente alla nuova chiesa della Pace,che aveva dimestichezza coll’architetto veneziano. Lo aveva sollecitato Giorgio Duranti perché convincesse il celebre progettista ad accettare l’incarico.

Prima della spedizione a Venezia dei rilievi fatti dal Duranti, Ascanio Girelli, li aveva esaminati insieme ad Antonio Marchetti, direttore dei lavori del nuovo Duomo di Brescia. Così come avevano valutato poi le due proposte del Massari, caldeggiando la scelta del progetto che prevedeva le navate separate da colonne.

Appena si sparge la voce che Palazzolo vuole dotarsi di una nuova chiesa, vengono qui altri progettisti come Domenico Corbellini e G.Battista Caniana. Il Corbellini presenta un disegno con una chiesa a tre navate con sessanta e più colonne disposte a quattro a quattro. Anche don Antonio Boschi,uno dei nostri deputati, stende due disegni che prevedono tre navate, senza catino e lanterna.”Li mostrò a tutti per ottenere approvazione, ma non la ebbe e allora si ritirò dalla carica di deputato”.

I capimastri

Gli esecutori, capi-maestri, della fabbrica sono due: Gio.Battista Soldati dal 1751 al 1756 e Carlo Cropi dal 1757.

Il Soldati, forse di Borgosatollo, era esperto di chiese ed aveva presentato nel 1747 un progetto per la parrocchiale di Boldeniga.

A Palazzolo la scelta dell’esecutore non è facile. I candidati sono : il Corbellini e il Soldati. La Congrega decide di affidare al primo l’incarico di soprintendente e al secondo quello di esecutore, obbligandolo a render conto del suo operato al primo. Ma a questo punto il Corbellini si ritira.

Il 27 marzo 1751, assistito dal Girelli, il Soldati prende le misure e disegna il coro, nell’orto vicino al fiume, piantandovi i segnacoli.

Dopo tre anni di attività,sorgono dei dissapori per inadempienze contrattuali. Interviene ancora il Girelli che appiana il tutto. Ma alla fine del 1756 il Soldati lascia l’incarico. Penso non sia stato ininfluente il fatto che ”il 16 ottobre di mattina è caduta dal celtro, cioè dalla vela del coro, o presbiterio, quasi tutta la cornice, che formava un ovale fatto per abbellimento del coro suddetto con ammirazione di tutti, e con disonore e danno del capo-maestro, quale dicesi che a sue spese, abbia a rifar quello, non avendolo prima fatto con tutti i suoi requisiti necessari e stagione impropria, perché di novembre , e contro la volontà de soprastanti; cosa che ha stomacato molti”.

Dalla primavera successiva, entra in carica Carlo Cropi, proveniente da una famiglia di architetti della Val d’Intelvi.

 

La scelta del luogo

Risolto il problema del disegno ed avuta la pianta dell’edificio, si manifestano diverse opinioni circa il luogo “in cui piantar si dovea tal Chiesa, poiché chi la volea in Castello, come sito più eminente e di bella veduta, ma la salita a quella e l'incomodo e la lontananza dalla Quadra di Mura rompea tal idea e pensiero. Chi propose di fabbricarla nel luogo del Nob. sig.r Annibale Zamara per esservi la Piazza avanti, ma la difficoltà di trovarli un luogo corrispondente in tutto al suo, annientò tal sentimento.Chi la desiderava nel luogo de Sig.ri Cavaleri per nobilitare la Piazza Pubblica e per comodo di tutte e tre le Quadre; ma dove e in che luogo e come trasportar si potea una si comoda Famiglia ?. Chi la desiderava nei due luoghi de sig.ri Gandini e Conti e sopra tali luoghi fatto havevano qualche conferenza, e passo, ma la cosa andava in lungo, volendo i sig.ri Gandini goder il suo sito sino alla morte, e poi dove era mai tanto di capitale per levar quei due gran corpi di case con altre ancora aderenti, se non v'era un soldo per dar principio a quella ?; e chi alla fine bramava piantarla nell'orto dell’Arciprebenda distruggendo le case di tutti e tre i Beneficiati, collocando poi questi nei luoghi e casamenti vacanti; sì delle sig. re Beppe ora di ragion della Scuola del SS.mo, come del sig. Marco Zamara. Discorsi tutti al vento, e stolide idee, o impossibili a potersi eseguire o difficili da potersi accordare, o dispendiose da potersi effettuare per le molte case che comperar si doveano prima di dar principio alla chiesa o incomodissime a molte famiglie, dovendo abbandonar le loro comode abitazioni e procurarne un altra o di poco o di nessun vantaggio all'anime, se distrugger si venia la Parrocchial Vecchia per comodo della Nuova non rimediandosi alle necessità delle dottrine capo principale ed essenziale, onde torno a ripetere, inutili proposizioni, discorsi vani, e stolide idee eran queste, havendo Iddio sin ab eterno decretato di piantar la sua Casa nel luogo, ove di presente piantata si vede, essendo tale ancora l'idea della maggior parte de Sig.ri Eletti, quali tutti andavan dicendo di fabbricarla nel casamento Zamara per altre sette e valide ragioni da Dio a loro suggerite, oltre le quattro dette sul bel principio della Istoria”.

Su quel terreno e fabbricato potevano esserci delle contro indicazioni, ma era centrale rispetto alla tre quadre, era isolato da altre costruzioni, lontano dal rumore della piazza del mercato, facile acquistarlo perché ormai della famiglia Zamara c’erano solo due anziane sorelle. Aveva l’inconveniente di essere soggetto alle piene del fiume. Si sente il parere dell’architetto Marchetti, che sta costruendo il Duomo di Brescia, il quale dà parere positivo. Per corroborare la scelta si convoca il 16 novembre 1749 la Vicinia generale degli Originari che decide di fare una chiesa nuova, la cui spesa sarà affrontata solo colle elemosine pubbliche, senza aggravio del Comune, collocata nella proprietà Zamara.

Con successiva assemblea di tutto il popolo, il 27 dicembre si vota quasi all’unanimità sulle stesse proposte.

Passa tutto il 1750, il 10 febbraio 1751 si suonano le campane per avvertire tutti che si è definito il luogo dove sorgerà la chiesa nuova. Ma le discussioni sul nuovo edificio non sono finite perché si deve decidere come orientare la chiesa. Chi vuole la facciata verso sud e quindi l’edificio parallelo all’Oglio, chi verso il fiume col coro dove c’è la chiesa di S.Maria Maddalena, infine chi ad occidente. E questa sarà la scelta definitiva.

Desiderio di cominciare

“E qui non posso esprimere né spiegare, continua il Galignani, il desiderio grande che havean molti di distruggere ed atterrare quelle profane mura per dar principio alle sacre e dar luogo alla nuova chiesa, per segno della quale piantaron nell'orto su la sponda del fiume Oglio una maestosa croce quale indicasse che già il Signore havea preso possesso di quel luogo, riservandolo per sé con la fabbrica d'una nuova chiesa parochiale, e però lì 24 febbraio correndo la festa dell' Apostolo S. Mattia, primo giorno di Quaresima dopo le funzioni ecclesiastiche molte persone (essendo capo il rev. Don Pietro Valota sacerdote tutto di zelo ripieno per la nuova chiesa) salirono sopra il colomberino d'esso luogo, lo spogliarono de suoi tetti e copertume, lo smantellarono e lo distrussero sino da fondamenti, andandovi ogni giorno gente a distruggere a lavorare , massime ne giorni festivi, dopo il qual passarono a saccheggiare e distruggere due corpi di casa contigui all'orto per dar spazio sufficiente al coro che ideavasi colà piantare, separando sassi cantoni e quadrelli, conducendo il tutto al suo luogo e preparando materiale per l'erezione di quello, ma come che in tal separazione vi erano ancora operarij dalla fabbrica pagati a fine di far le cose con la maggior brevità possibile”.

 

Perplessità

Abbiamo già detto che il Soldati, aiutato dal Girelli, il 27 marzo prende le misure e pianta i “segnacoli” per lo scavo delle fondamenta.

“Cosa mirabile di dirsi, ma pur vera: quanti andaron a veder tali misure e segnacoli, tanto persone signorili, come popolari, tutti crollarono il capo e al veder l’angustia di quei segnacoli all’intorno posti, tutti beffarono l’opera, sprezzarono il disegno, e derisero l'esecutore, asserendo alcuni esser questo il coro di S. Pietro Campestre altri haver la figura d'un forno, altri, che era più grande il coro della chiesa nuova della SS.ma Trinità con altri maggiori spropositi, che per prudenza tralascio. E se bene alcune persone prudenti cercarono di capacitar tali malcontenti, e di far tacere tali maldicenti, asserendo che le misure non possono errare, che l'occhio in tali cose s'inganna, che il Girelli presente, e pratico di tali cose e misure non vorrà ingannar li Sig. Eletti, che l'esecutore è uomo d'esperienza con altre ragioni, pure non si potean dar a credere, che non fosse un gran sproposito il farlo si piccolo ed angusto, e che pessimo era il suo principio”.

Il 18 aprile, domenica in Albis, si posa la prima pietra.

 

La generosità dei Palazzolesi

Nei primi otto mesi, fra marzo e ottobre 1752, si raccolgono offerte straordinarie per portare a termine il cornicione di tutto il coro e delle cappelle laterali.“Più molte persone particolari ne giorni feriali, scrive il Galignani, al veder la Fabbrica in necessità, o di sabbione, o di sassi, o d'altro, co' loro carretti, o con le carriole a mano, o coi zerletti in spalla condotto, e portato hanno tali cose, per non lasciar oziosi i maestri, e imperfetta l'opera, ed una donna più volte in una festa portò sassi, e gran sassi in Fabbrica con le proprie spalle”.

Nel 1751, primo anno dei lavori, si sono spese lire piccole 9.273,8 (scudi 1.324) e resta un debito di scudi 300.

Nel 1752 spese lire 10.521,14 (scudi 1500), nel 1753 lire 9.534 (scudi 1400), nel 1754 lire 9.284 , 9 (scudi 1300).In tre anni di fabbrica si sono spese lire 29.000 (scudi 4.150).”essendo l’opera fatta stimata da tutti al prezzo di 18 in 20.000 scudi (circa 140.000 lire). Uscite dei 5 anni scorsi lire 46.766 = berlingotti 46.766 s.9, d.6 = scudi 6.700 circa, tutte elemosine, piccoli legati e offerte fatte dal popolo in anni peraltro calamitosi e scarsi e con tanta e sì grand’opera fatta”.

Egli segnalata inoltre la generosità

- dei massari che ogni festa, inalberando una bandiera sui carri per renderli riconoscibili, “fanno condotte di sassi, sabbione, avendo in cambio il puro sostentamento”. A questa attività collaborano anche coloni e massari delle terre circonvicine, come Palosco, Telgate, Adro, Erbusco e Cologne.

-delle donne che nei giorni festivi “col maneggiar il fuso e le dita han recato vantaggio di scudi 130, benché abbiano iniziato a filare assai tardi”.

-delle famiglie benestanti che “hanno passato attraverso i questuanti pane e vino e farina e denari per dare il solito ristoro e reficiamento ai carradori e agli uomini che scavano sabbione, tagliano legname, alberi”.

Quando veniva offerto qualche prezioso, “come anelli d’oro col suo diamante nel mezzo, stimato scudi 20 circa, era posto al lotto con trecento biglietti a soldi 10 per biglietto”.

Il piano finanziario dell’opera prevedeva “oblazioni mensili di soldi cinque o dieci per persona raccolti dai questuatori e versati per estinguere man mano i debiti annuali”.

Per aumentare la dotazione fissa ogni questuante chiedeva altri impegni e molte famiglie scrissero sul foglio “le loro caritatevoli , o volontarie oblazioni, chi di denaro, chi di giornate, chi di roveri e chi di pane o vino “ .

Offerte raccolte nel 1752: a Mura lire 913 (scudi 130), in Piazza lire 573 (scudi 82), a Riva lire 684 più monili per un valore di lire 300, lire 984 (scudi 140). In totale lire 2.464 pari a scudi 352.

Le donne filando hanno recato d’utile lire 1.140.

“Tutte le filande di seta nella festa di S.Maria Maddalena (1754) hanno continuato il loro lavorerio dandosi alla chiesa da padroni tutto l’emolumento di quel giorno,come pure si è fatta la questua del formento, del minuto del vino qual è stato abbondantissimo, della legna minuta.

“Così in ottobre si è fatta una questua generale per tutte le case comode e nella quadra di Mura si raccolser in danaro lire 250, in Piazza lire 103, a Riva lire 180. Totale lire 533.

Nel 1756 il prete Valota ha raccolto tra galette e denari in giugno berlingotti 450 nella sola quadra di Mura, tre pesi e più di galette in Piazza e Riva

“Così alcuni sacerdoti hanno preso l’incomodo d’andar a celebrar messe 80 nell’oratorio della SS. Trinità ed hanno lasciato la limosina di quelle alla fabbrica” .

Gestire la navigazione sulla Fusia

Si pone di nuovo il problema della riduzione del costo del trasporto delle pietre da calce e dei mattoni attraverso la Fusia. Ma l’appaltatore del dazio non sente ragioni. Ragion per cui

“I responsabili dell’opera pensavano giorno e notte come recare vantaggi alla fabbrica , uno sarebbe stato la possibilità di convincere l’assegnatario dell’appalto del navolo a lasciar venire gratis per detto vaso tutto quel materiale e robba che occorrere può alla fabbrica.Vista la risposta negativa giunsero a immaginare do concorrere per ottenere l’appalto a vantaggio della fabbrica”.

Ma non se ne fece nulla.

Un modellino in legno

Don Carlo Mingardi ha realizzato il modello della chiesa e il Galignani lo colloca fra il numero dei benefattori della nostra Fabbrica” per haver con l'acutezza del suo ingegno, con la fatica delle sue mani, e col danaro della sua borsa fatto, e lavorato il modello della nostra nuova Parochiale, operetta, che consola, e sodisfa, chi la vede, massime nelle rarità, e bellezza della facciata, qual modello anima, e incoraggia tutti a procurar a tutto potere di dar l'essere a quel tempio, di cui rappresenta, e ne fa la sua sola figura, onde il fine del buon Sacerdote fù di giovare con questo in ciò, che potea, al vero originale, e con la semplice figura rappresentar il figurato.

Il Rosa ci ricorda che il suo maestro “ Mingardi era piuttosto ingegnoso per lavorare a casa sua parecchie più stimabili che belle cose da legnamaro sottile, non aveva però una bella mano da scrivere, né abilità, né pazienza nell’insegnare”

La fornace

“Era in pensiero ad alcuni Assistenti alla Fabbrica, che far si dovesse in qualche luogo comodo una fornace per far calcina a benefisio della Nuova Parochiale, dovendo la di lei fabbrica durar per molti anni, essendo assai grande, per evitare in parte quella gran spesa, che far si conviene nella provisione di detta calcina per uso di quella, tanto più che tutte le Fabbriche di chiesa, che d'ogn'intorno habbiamo, eretta hanno la lor fornace per uso suo, essendo ad esse questa di grand'utile, e vantaggio, e molto più perché in Palazzolo avvi gran copia de sassi per far la medesma, tanto nel Fiume Oglio, come per la campagna, il che non è in altri luoghi, e molte persone van offerendo qualche porzion di legna per cuocer quella”,ma l’idea fu abbandonata.

Nuovamente riproposta

“Ora nell'anno corrente non havendo potuto li Sig.ri Eletti abboccar il Navolo della Seriola Fusia per havere a buon patto la calcina a beneficio della Fabbrica, ne havendo potuto fare patti

avvantaggiosi coll' Abbocadore di quella, come pensavano, molti hanno nuovamente proposto doversi fare questa fornace, e alcuni Coadiutori asserivano voler essi abbandonare ogni loro impegno, e officio, che hanno in Fabbrica, se nell'anno corrente non si faceva tal fornace”. Intanto Francesco Alsegni, persona tutta del Signore e della sua Fabbrica, trovando in quella sempre, e in ogni tempo di che operare e travagliare, principiò ad esaminare tutti i sassi, che erano in detta Fabbrica, si delle case distrutte, si quelli che condotti erano da campi, come quelli ancora che di mano in mano si conducevano, e sciegliendo i buoni per cuocere, quelli trasportava, o trasportar faceva al luogo della Sacristia, per poi riporli a suo tempo nella fornace, fatta che sarà, per convertirli in calcina, e ne ha preparato a questo fine più carra”.

E molti si propongono di aprire la fornace e”pensano al luogo, e al sito: chi propone di farla nella Fabbrica, come Più comoda, chi nel Prato della Resega, come luogo di maggior libertà, e comodo: chi di restaurar quella delle Calcine di ragione del Sig.r Lanfranco Zamara, essendo ancor mò quasi nel suo essere: chi di rifare quella delle Mirandole, essendosi ancora la terra per far quadrelli: e chi alla perfine la volea nel Ruzio contro il Rivale istesso per minorar la spesa, ma la comune opinione era, che si fabbricasse, come habbiam detto nel luogo istesso della Fabbrica vicino alla Sacristia verso sera, come sito più comodo, e per evacuaria, e per condur pietre dal Fiume Oglio, e per alloggiar legne, ed altro, coperto che fosse il Coro, il che si sperava di farlo nell'anno prossimo venturo”.

Vi si oppone però con forza Lanfranco Zamara,” temendo del fuoco, del riflesso del calore di detta fornace, del flusso, e riflusso de carri, a cui soggetta sarebbe la sua cantina, e la sua abitazion personale”. Si aspetta l’arrivo di “Maestro Filippo, uomo indendente di fornaci, e il nostro Capo Maestro Soldati ambi allora assenti, e lontani, e venuti, proporre a loro ogni difficoltà, e timore, e stati alloro giudizio, pratica, e determinazione; se essi tutti asseriranno non esservi alcun timore di danno a motivo di detta fornace, converrà che il Sig.r Zamara habbi pazienza, e soggiaccia ad ogni incomodo”.

Le paure dell’appaltator del navolo

“In questo mentre fassi sentire il Sig.r Giacomo Antonio Rondo Abboccadore della Seriola Fusia, qual temendo con tal foniace, che ideavasi fare, d'haver qualche danno, o discapito nel suo negozio di calcina, con vari pretesti, e ragioni cerca di trar in nulla una tal proposizione”.

“Quando li 8 novembre giunse in Palazzolo Mastro Filippo fornacino, e condotto sul luogo, udite le difficoltà, ed osservata per minuto ogni cosa, attesta non esservi ne pur ombra di pericolo, non che timore di danno, o pregiudizio veruno e si disegna dal predetto Maestro Filippo la fornace di larghezza incirca a quattro braccia, e mezzo, di lunghezza poi nuove braccia con una sol bocca, qual disegnata, viene il 9 di novembre principiata, ed eretta, conducendosi di giorno, in giorno, per non dir di ora in ora il materiale di sassi, quadrelli, e sabbione, che andar dovean in opera, non essendovi per quella cosa alcuna preparata, perché tutto il materiale erasi consumato nel Coro, e pure cinque milla di quadrelli trà la bocca, e camiscia consumati si sono in questa, la provizion de quali ha arrecato grave incomodo alli Coadiutori per le condotte assai difficili di quelli, e gran disturbo hanno gli Assistenti per il detto materiale, che a loro mancava, a quali conveniva raccogliere, o far raccogliere quà, e là, massime in casa de Sig.ri Cavaleri, ed in altri luoghi di persone private, per non lasciar imperfetta l'opera, e oziosi in quella i maestri.

“frattanto si è giunto al compimento di quella, e all'altezza determinata di braccia dieci incirca di muraglia d'ogni intorno, con altri braccia quattro di tetto più alto della muraglia istessa per comodo di quadrelli, ed altro, talché li 29 novembre furono licenziati, e sodisfatti i maestri, e li operari, non rimanendovi di fare, che qualche bagatella, quale con comodo potrà essere fatta ancora per carità de nostri maestri del Paese, essendo stata consumata calcina in tutto carra cento, e venticinque, e tutta l'opera di questi nuove mesi con tutte le spese occorse e fatte in quest'anno importa lire piccole dodeci milla, e più, senza le molte generose offerte, oblazioni, e limosine di materiale fatte da più divote Persone.”

 

Si legge nelle Memorie mie di don Vincenzo Rosa:

“La fabbricazione ancora della nuova chiesa parrocchiale del paese, mia coetanea, come ò pur accennato, era terminata circa quel tempo e d'allora in poi si attese ad ornarla di sontuosi altari di marmo. Questi furono lavorati sul fatto. Ed io secondo il mio istinto appresi di mano in mano tutta l'arte dei marmorari: appresi a conoscere molti marmi, conobbi tutta l'arte di segarli, d'intagliarli e di metterli in opera; così pure quella di temprarne i ferri, e di fare i diversi stucchi opportuni, le colle per attaccarle ed emendarli, e quella di lustrarli o lisciarli come uno specchio. lo feci anco qualche passo di più. Inventai da me stesso l'arte di dipingere in minuto e di scrivere sul marmo bianco di Carrara con colore indelebile come di lapis rosso fattovi penetrare dentro adoperando la gomma-resina sangue di drago, macinata collo spirito di vino, ed apparendo il marmo disegnato ad un certo grado di fuoco. E di più ancora imparai a competentemente disegnare di architettura civile, acquistandone a poco a poco e quasi derubandone in certo modo le cognizioni, e servendomi soprattutto del Vignola e del Galli Bibiena, e delle mie riflessioni unite alla viva pratica o ricognizioni degli altrui errori”.

 

Incidenti sul lavoro

Durante le operazioni durate tanti anni non mancarono incidenti sul lavoro, che il Galignani segnala sotto la rubrica “ Avvenimenti, o sia accidenti prodigiosi occorsi nell’anno…”e aggiunge che “Iddio in modo particolare assiste a chi s’affatica e travaglia nella sua casa e riguarda con occhio amoroso tutti quelli che s’impiegano ne suoi templij, riparandoli dalle cadute o salvandoli da quei pericoli che pur troppo sovrastano a tali operarij”.

La morte di Nicolò Armanello

Figlio di Giovanni da Erbusco e di Caterina figlia di Nicolò Belotti detti Orlando, era nato nel giugno 1721, ultimo di cinque fratelli.

“Il primo di luglio prima domenica del mese andato in fabbrica sul mezzo giorno Nicolò Armanello giovane d'anni 32 operaio indefesso, e zelante della nuova chiesa si diede a riempir il cassone de sassi per preparar materiale sul ponte, doppo lungo giro e raggiro, tratto il cassone in alto, preso da un altro giovine, che sul ponte lo stava attendendo per evacuarlo, non si sa come, staccatosi da se il cassone dalla corda piomba sul capo del detto Armanello, che applicato era a riempire il secondo cassone, e in un istante spezzatali la testa, e infranto un braccio muore sul piano del Coro compianto da tutti: ma buon per lui, perchè due giorni avanti fatto havea le sue devozioni, correndo la Festa de S.ti Apostoli Pietro, e Paolo, e però Dio seco lo volle per premiarlo per il zelo, che havea della sua casa: e li Sig.ri eletti della Fabbrica invitarono tutti i Sacerdoti con ambedue le Confraternite, quali in buon numero v'intervennero con molt'altro Popolo d'ogni sesso, al suo funerale, tutti suffragando l'anima d'un tanto benefattore morto per l'honor del suo Dio, e si cantò pure in suo suffragio, e in suffragio ancora di tutti i benefattori d'essa fabbrica un solenne Officio da morto, talchè molti sapendo le sue buone parti, e qualità virtuose, e massime il zelo grande, che havea della nuova chiesa invidiaron in certo modo la sua bella sorte, e chiamaron come beata la sua morte, essendo stata come una specie di martirio per la fabbrica della casa del suo Signore, e come tale si crede, poichè doppo sette giorni della sua morte, travagliato gravemente in un'orecchia da una postema il Sacerdote Sig.r D. Giuseppe Tedoldi, ne potendo una notte haver riposo per la forza del dolore, che in quella provava, dopo haver invocati più Santi del Paradiso, non cessando l'incomodo, gli venne in mente di raccomandarsi all'anima del defonto divoto, e zelante operario della nuova chiesa, promettendoli la celebrazion d'una messa, e la recita d'una corona, e appena ciò detto, e fatta la promessa, che il dolore tosto s'acchetò, prese sonno, e in pochi giorni fù d'ogni mal liberato, narrando poi egli a tutti, quanto occorso era alla sua persona, coll'essersi raccomandato ad un tal giovine”

 

L’8 agosto 1756 annega Bartolomeo Tabone

“Ciò che più d'ogn'altro ha trafitto il cor di tutti, si è il caso seguente seguito li 8 agosto: congregato, e raccolto il sabione come abbiam detto tra i rami de molini, questo ogni festa conducevasi alla fabbrica; scoperto il Crocifisso per bisogno di pioggia nella seconda domenica Bartolomeo Tabone tutto zelo, e operario indefesso della fabbrica s'offerisce di far condotte di sabione, come fatto havea per l'addietro, lo consigliano a desistere, si per esser scoperto il Crocifisso, si per esser cresciuto l'Oglio la notte antecedente per la pioggia ottenuta, ma egli trovato un compagno eguale a lui nel zelo, scalsi vanno a far tal condotta: la seconda volta havendo fuor di modo caricato il navetto, giungono con stento, e con gran pericolo di sprofondare nel fiume alla pescheria Zamara, e cercando il compagno di gittar la corda a riva, acciò presa da altri, tratto fosse il navetto a porto, mai non li potè riuscir questo, intanto il Tabone, essendo su la poppa verso l'Oglio rideva, e burlava il compagno, come bono da nulla, e questo mentre la punta del navetto oppressa, e da lui, e dal sabione si sprofonda nel fiume, senza che lui se ne accorga, e mancandoli sotto i piedi, cade con la faccia verso il cielo nell'Oglio, e rivolgendosi sottosopra anche il navetto, intorbida col sabione tutta l'aqua; corre il compagno per aiutarlo, lo afferra per i capelli, ma non potendo da solo trarlo fuori si per altezza dell'acque, come per il corso del fiume, lo lascia in potere dell'onde, quali levandoli ogni spirito, lena, e forza, convien, che tra quelle incontri miseramente la morte, venendo palpitante depositato su la palificata della Castrina: caso compianto da tutti, perchè doloroso alla sua famiglia, e di qualche perdita alla fabbrica, per esser di quella un indefesso, e diligente operario.

Vincenzo Bartolomeo Taboni, figlio di Santo fu Francesco e fu Maddalena Malonni, era nato nel 1715, si era sposato nel 1742 con Caterina dalla quale aveva avuto cinque figli: Andreana (1743), Lellia (1746) morta a due anni di età, Francesca (1749) , un bimbo nel 1751 morto in fasce e Lellia (1743). La moglie Caterina muore a 70 anni nel gennaio 1790.

 

Si demolisce la chiesa di S.Maria Maddalena

Dove ora c’è il sagrato della parrocchiale, sorgeva la chiesa di S.Maria Maddalena., circondata da case private. Verso il fiume il casamento degli Zamara, a mattina altro casamento delle famiglie di Gio.Giacomo Bonadei e Bortolo Varisco.

Per far posto alla nuova costruzione vengono abbattute la chiesa e porzioni di quelle case.

Così racconta il Rosa:

“In tutto quel sito dove ora è la detta chiesa, v'erano molte case, le quali si atterravano, e vi era una chiesetta di Santa Maria Maddalena. In questa chiesetta si faceva la dottrina cristiana delle fanciulle; e le mie zie materne mi vi portavano secoloro, e mi ricordo quando si cominciò a traforare i muri di questa chiesetta, e che i ragazzi venivano a guardare nella dottrina per quei trafori. Mi ricordo com'era fatta presso a poco quella chiesetta, come aveva l'altare, una nicchia laterale con una grossa statua di stucco inginocchiata della Maddalena, come n'era fatta la porta, e sopra quella una pittura della Maddalena portata dagli angeli; e quando l'una e l'altra furono demolite”.

“La chiesa destrutta della Maddalena, scrive il Galignani, è stata di gran beneficio et aiuto alla nostra fabbrica; 1°per le tre chiavi di ferro, e quattro ferrate di ferro ritrovate in essa; 2°per i molti quadrelli estratti dal di lei celtro, e per le molte pianelle cavate dal pavimento, o sia solame; 3° per la gran copia di medolo e pietre ,o sia cantoni di Sarnico ritrovati in quelle mura; 4° per la porta maestosa venduta in scudi 24 a sigg.ri della Quadra di Mura da collocarsi nella chiesa di San Sebastiano di ragion d’essa Quadra oltre il gran materiale, che era in quella,dono della Comunità”

La pala del Batoni per l’altare del SS.Sacramento

Curiosa la vicenda di questo quadro. Scrive ancora il Galignani,” la pala della Scuola del SS. fatta dal famoso Batoni di Roma, ma non ancora compita è rimasta in mano dell’autore, quale ha restituito il danaro datogli a conto, ed ha trattenuto l’opera per se, venendo obbligato da porporato a istanza della Reggenza a compier l’opera più presto di quello, che li permettono li gravi impegni”.

L’organo del Calido

“1774, La sera degli 8 di gennaio alle ore due di notte arrivò in paese sopra quattro carri il nuovo e famoso organo della nuova parrocchiale fabbricato a Venezia dal sig.Gaetano Calido:

nonostante la notte si diede segno con tutte le campane per avviso

e consolazione di tutto il paese.

Ed alla fine di febbraio fu terminato di mettere a posto e riuscì

con meraviglia e contento universale”così il Rosa.

Un fulmine distrugge l’organo

Dopo quattro anni “l’ 8 settembre 1778, la notte scorsa scoppiò un fulmine contro la nuova chiesa parrocchiale, il quale la colpì in più luoghi assai distanti fra di loro, quali sono la parte settentrionale esterna della cupola, il grandioso organo, l’altare della B.Vergine, tutto di marmo, e la porta maggiore.Il danno fu piuttosto considerevole nell’organo” Pezzoni

 

La prima messa e la solenne benedizione degli altari appena terminati

Nelle “Memorie Patrie”, del Rosa si legge sotto la data 1772 “nella nuova parrocchiale già terminata sino dalla fine dell’anno 1765, benché non pur anco consacrata ne benedetta, è stata celebrata la prima messa e molte successivamente all’altar maggiore il giorno 6 dicembre 1772 sino al primo gennaio 1773, in occasione delle Missioni fatte ivi dal celebre, pio, zelante abate don Bartolomeo del Monte bolognese e de’ suoi compagni che vanno attorno a fare le missioni con grandissimo frutto e senza verun incomodo, poiché fanno tutto il loro viaggio e mantenimento a loro proprie spese, oltre ancora molte limosine che dispensano. Anno istituito di fare la Dottrina per i fanciulli anche la festa di mattina, la quale poi si è sempre continuata con molto profitto sotto il nome di Quinta classe”.

Prosegue:“Ritornato dalla Fiera di Bergamo a Palazzolo, io mi lasciai pregare e persuadere di dar mano ed aiuto ai grandiosi apparati di quella nuova parrocchiale, dove prima benedetta vi doveva eseguire il più di detta solennità: la quale consister doveva importarvi, per quel giorno di domenica 25 settembre, una immagine venerata di un gran Crocefisso della Vecchia Parrocchiale.”

La benedizione

 

“Ai 24 settembre 1774, giorno di sabato, la mattina alle ore 15 fu fatta la solenne benedizione della nuova parrocchiale e di cinque altari in quella costrutti, da mons. Antonio Medici canonico della cattedrale e provicario episcopale con universale allegrezza del nostro popolo.

I cinque altari allora benedetti, oltre al maggiore, furono quello del Sacramento poco avanti terminato eccetto il tabernacolo, quello del Crocifisso e quello della Madonna molto avvanzati, quello di San Luigi avvanzato anch'esso e quello della cappella corrispondente costruttovi di legno.

Dopo la benedizione Mons. Vicario celebrò la Messa, e dipoi si attese al solenne trasporto della santa immagine malgrado l'acqua che dirottamente cadeva dal cielo. Alle ventun'ora incirca cessata la pioggia si scoprì e si portò processionalmente la sacra Immagine dalla vecchia Parrocchiale nel mezzo della nuova con grande sfarzo di addobbi e di cere e con grande concorso di gente, e con una musica delle più sontuose. Fecevi poi una eloquente morale orazione il R. Padre Antonio Beccalossi Filippino.

La Domenica 25 fu celebrata la solenne messa dal sopradetto Mons. Provicario all'altare posto nel mezzo della chiesa avanti al SS.mo Crocifisso. La musica fu diretta dal Maestro D. Giuseppe Zorzi. E al dopopranzo recitato un consimile discorso dal sopradetto P. Beccalossi vi fu il solenne vespro in musica diretta dal Maestro D. Nicola Caretta, e dipoi il Tedeum e si chiuse la sacra funzione col portare di nuovo la sacra immagine al suo luogo nella vecchia Parrocchiale, circa le 24 ore cioé a notte. Il concorso delle genti vicine e lontane é stato grande e sarebbe stato maggiore ed eccessivo se il cielo non avesse mandata dirotta pioggia nei giorni precedenti, e non ne avesse minacciata eziandio il giorno stesso della festa. Tutta questa grandiosa funzione fu diretta come ò scritto dal Sr. Giacomo Muzio, tutta da sole limosine raccolte in questa e nelle circonvicine terre”.

Lo scoppio del cannone

“Per dare maggior risalto alla funzione si fecero, e la sera precedente e nelle principali azioni della funzione, moltissimi tiri di sbari di mortaretti e si fecero ancora venire dalla fonderia di Castro due cannoni di ferro, i quali furono appostati nei campi detti Le Torri sulla strada del Cividino e furono più volte sbarati. Ma la sera, agli ultimi tiri, uno di essi crepò balzando i gravi pezzi tutt'all'intorno, alcuni sino a trecento passi lontano, ed altri strisciarono e saltellarono per terra impetuosamente. Uno di questi da fianco portò via miserabilmente la testa ad un giovinotto Giuseppe Spadacino che con molt'altre persone stava osservando.

Le persone presenti saranno state da sessanta sparse qua e là e nessun altro fu offeso benché i grossi pezzi del cannone lanciati siano stati dieci, oltre alcuni minori; e fu colpito il solo Spadacini che aveva cacciato nel cannone carico alcuni sassi a forza e con dispiacere del cannoniere”.

Il giovane aveva 22 anni ed era figlio di Giuseppe e di Maria Urgnani.

I personaggi che non hanno visto terminata la chiesa

Dall’inizio della costruzione alla benedizione sono passati ventitrè anni, un’intera generazione di Palazzolesi non ha potuto vedere completata la nuova chiesa. Calcolando una media di 80 morti per anno sono scomparse oltre duemila persone. Tutte meriterebbero di essere ricordate perché tutte in modo diverso hanno collaborato, aiutato e sognato di veder compiuta tale grandiosa opera. Ricordiamo, primo fra tutti don Benedetto Galignani, che muore a 54 anni nel 1763, cronista della costruzione, chiamato alla carica di deputato dopo la morte di Antonio Vidari, non volle accettare, ma di fatto fu molto vicino allo scomparso tesoriere.

Poi viene l’arciprete don Giovanni Suardo, inizialmente contrario, si convertì alla causa e si impegnò perché fosse portata a termine. Muore, dopo mesi di sofferenza nel 1755. Aveva 72 anni. Dopo le esequie, viene sepolto nella vecchia chiesa. Le funzioni furono presiedute da don Galignani, delegato dal Vicario diocesano, essendo insorte divergenze fra i parroci di Palosco e Pontoglio. All’incarico di economo spirituale della parrocchia viene nominato don Angelo Muzio che nel gennaio 1756 diventa arciprete, incarico che durerà 33 anni fin alla scomparsa nel 1788. Da quattro anni si era conclusa la vertenza coi canonici per la comparrocchialità.

Il 15 novembre 1753, a 66 anni di età,“passò a miglior vita inaspettatamente, don Giorgio Duranti, pietra fondamentale della nostra chiesa, colonna d’essa fabbrica e gemma del clero di Palazzolo, qual pochi giorni avanti donato havea alla fabbrica due suoi insigni quadri, e raguardevoli pitture da spedirsi al Re di Spagna a beneficio d’essa chiesa e li sigg. Eletti per mostrar al pubblico la grave perdita fatta in tal soggetto ed il loro interno dolore, andarono ad accompagnare processionalmente il suo cadavere dietro alla bara al numero di 24 co’ suoi cerei ardenti assistendo con lacrimevole edificazione e presenza alle sue esequie ed officio di Requie con somma ammirazione di tutto il paese e con loro rincrescimento ed afflizione e, non contenti di ciò, per compensare in qualche modo tal perdita, hanno tosto chiamato Congrega per il 24 del suddetto mese per sostituire alla di lui mancanza il nob. Co. Faustino Durante, degnissimo fratello del defunto”

Nel marzo 1763 era morto, a 80 anni, anche il tesoriere Antonio Vidari “ sì zelante, sollecito, indefesso per l’avanzamento della nostra fabbrica, qual è tal segno per la sua quotidiana assistenza”. Eletto nel 1751 per tesoriere e cassiere, in mano sua passarono tutti i conti dell’opera. Di professione commerciante, aveva sposato Maria Marieni dalla quale ebbe sette figli. Era anche socio in affari nella conceria di pellami di Piazza Roma con il Gorini.

G.Antonio Rondi,(1675-1757), all’inizio contrario alla scelta per la nuova chiesa, gestore del navolo della Fusia e contrario alla costruzione di una fornace per calce e quadrelli, che avrebbe dddsottratto proventi al suo traffico di navette, negli ultimi anni ha donati materiali per la costruzione ed “ha donato uno zecchino di Venezia e ha condonato il pagamento del traverso della Fusia per 12000 quadrelli provenienti da Sarnico per le due arcate”.

 

La questione “banchi”

“Terminata sino dall'anno 1765 la nuova magnifica Parrocchiale della mia Patria, si attese in seguito ad ornarla di magnifici altari di marmo, ed a corredarla di sacristia e di altre fabbriche di ecclesiastico uso. Il medesimo fervore e di limosine e di fatiche mostrato dal Popolo nella fabbricazione della Chiesa continuò indefesso anche nel compimento di questi accessorii della Chiesa stessa”.

Fin dal 1776 i signori cominciano a farsi avanti con la pretesa di trasferire i propri banchi privati nella nuova chiesa, in attesa che si possano fabbricare quelli nuovi per tutti i fedeli. Durante Duranti conduce l'azione che però non passa inosservata agli occhi del popolo che con tanti sacrifici ha costruito la chiesa e che reclama quindi maggiore uguaglianza anche all'interno del tempio.

A poco' a poco la lite divampa, si passa alle satire, alle denunce e al processo per sollevazione e tumulto.

Nella notte del 6-7 febbraio 1779 don Vincenzo Rosa, don G.B. Masneri e altri sono arrestati, condotti in carcere e 1'11 giugno successivo condannati come sediziosi.

I banchi dei signori sono sistemati nella nuova chiesa e, spenta l'eco della lite, il 12 gennaio 1780 si trasportano dalla vecchia alla nuova chiesa le immagini sacre e le reliquie senza alcuna solennità e intervento del popolo.

In marzo anche il Fonte Battesimale trasloca e il 14 maggio si celebra con solennità la festa di S. Fedele e si espongono le reliquie del Santo regalate dal Vescovo di Corno.

Il 6 maggio 1782, dopo oltre trent'anni dall'inizio dell'opera, il Vescovo di Brescia, Mons. Giovanni Nani viene a Palazzolo per consacrare solennemente la nuova chiesa e fissa per la prima domenica di maggio l'annuale commemorazione.

E i banchi?

Gli avvenimenti politici della fine del secolo colla ventata rivoluzionaria, la ribellione di Palazzolo a Venezia e i vari governi succedutisi all' ombra delle armi francesi, fanno da sfondo all'ultimo atto della vicenda dei banchi della nuova chiesa.

Il 26 aprile 1797, viene piantato in Piazza l'Albero della Libertà, con l'intervento delle autorità, della Guardia Civica e dei soldati francesi. Alla fine della cerimonia il cittadino Valotti declama contro i nobili e l'abuso dei banchi privati in chiesa; si va a strappare da quelli le lettere con cui erano marchiati e distrutte come segni odiosi di dispotismo e di ingiustizia fra gli «Evviva» dei presenti.

 

Conclusione

Al termine della lettura di queste pagine, spero che ognuno potrà apprezzare ancora di più questo monumento che iniziato “ col fondamento di molti debiti, che alla bella prima si sono convenuti fare per la compera del fondo e per l’acquisto delle case necessarie per tal impianto, ed erezione, e lascia e permette che tal opera pure tutt' ora si proseguisca, e si proseguisca alla grande, come ogn'un vede, coi soli ordinari, scarsi, ed annuali tributi d'oro, d'argento, o d'altro, che di tempo in tempo, per non dir di giorno in giorno si van raccogliendo dalla generosa e instancabile pietà de’ divoti abitanti, e dall'effetto d'alcuni pochi foresti, che mai si rallentano dal far bene a quella, talché convien confessare che Dei structura est, Dei edificatio est Templum hoc, cioè che una tal fabbrica è opera del grande Iddio, benché eseguita dalli uomini, e che in essa risplende la divina Provvidenza, e l' onnipotenza sua infinita, benché in parte aiutata dalla Carità, e dalla Pietà umana, e che in tal opera avvi l'invisibile, e prodigioso dito del Signore, benché si veda solo la mano operatrice delle creature, quali cose tutte, e ammirano, e confessano tutti quelli, che a tale fabbrica per impegno assistono, o per curiosità contemplano, non arrivando a comprendere, come a si gran passi possa questa andar avanti, soccorsa soltanto dalla quotidiana Pietà de divoti abitanti in anni sì scabrosi, e di danaro sì scarsi, e sarà pure per confessare, e ammirare ancora con evidenza, chi la presente Istoria, e la seguente narrazione vorrà benignamente leggere” .

Sono passati due secoli e mezzo da quando don Benedetto Galignani scriveva queste note.

Vado, con commozione, al momento in cui mi venne concesso di tenere fra le mani il manoscritto, che era stato presso don Vicenzo Rosa a Pavia per alcuni anni e poi restituito alla casa Galignani di Palazzolo. Sento presenti i due preti che mi affidano il compito di diffondere la conoscenza della Istoria dell’edificazione della parrocchiale, che fin da bambino mi affascinava e mi affascina tutt’ora.

Memorie Illustri, 1 settembre 2009

 

Cronologia essenziale

1749, 16 nov, riunione della Vicinia degli Originari per decidere sulla edificazione della chiesa

27 dic, assemblea dei capifamiglia e riconferma delle decisioni prese, nomina dei responsabili di quadra

1750, 11 gen, incarico all’arch.Massari

24 gen, spedita a Venezia la pianta con indicazione dell’area

15 feb, approvazione del disegno

26 apr.,si sceglie la soluzione del progetto con le colonne

21 mag, ducale con l’autorizzazione

21 set, primo pagamento al Massari

1751, 10 feb,scelta della localizzazione e acquisto del terreno

12 mar,decreto permissivo della curia

24 feb,si demoliscono le case vicine

27 mar, il soldati prende le misure e inizia a scavare le fondamenta

18 apr, posa della prima pietra

1753,16 apr,inizia a funzionare la fornace

1754, demolizione della chiesa della Maddalena

1756,si dimette il capomastro Soldati

1762, la cupola è terminata

1765, è completato il tetto

1772, 6 dic, prima messa

1774, 25 set,benedizione da parte del provicario Medici

1778, distribuzione dei nuovi banchi

1780, 21 gen, si trasferiscono le sacre immagini dalla vecchia alla nuova

1782, 6 mag,consacrazione da parte del Vescovo Nani

1797,26 apr,si festeggia intorno all’albero della libertà,si bruciano gli stemmi tolti dai banchi

 

Per una valutazione delle cifre esposte dal Galignani, posso aggiungere che nell’anno 1744 il pedaggio riscosso per il passaggio sul ponte carraio rendeva al comune lire 2.595. e l’affitto dei cinque molini lire 2.626.

Il salario del medico dott. Morbio era di lire 1.550 annue, del chirurgo Boglioni lire 70, la farmacia rendeva 500-700 lire.

Nell’estimo mercantile del 1750 il filatoio e il negozio della seta dei Cavalleri valeva 4500 lire,e quello dei Muzio 2800.

Un collegiale che studiava nel collegio dell’Annunciata sul monte Orfano pagava nel 1781 una retta di 60 scudi pari a lire 420 per i nove mesi di permanenza..

Il collegio aveva incassato nel 1780 lire 9.300 e speso per il funzionamento lire 8.365.

(Nota 1 scudo =7 lire piccole = 7 berlingotti )

1 peso di galette= chilogrammi 8

Nella primavera del 1773 il frumento l.63 al sacco, il formentone l.45 ed il vino l.80 al cavallo.Il seme dei bigatti l.20 all’oncia.Le galette l.50 al peso, il riso l. 112 al sacco.

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