Donne in fabbrica a palazzolo sull'oglio
pubblicato il: 12/01/1996
da: Album n.3 ips commerciale
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Le donne e la fabbrica

Quando nel 1870 fu commissionato al pittore Campini il velario del Teatro Sociale, egli scelse di raffigurare, su uno sfondo col panorama di Palazzolo, le signore Camorelli,Cicogna e Fenaroli, rispettivamente per l’industria, l’agricoltura e il commercio, quasi ad elevare la donna a simbolo del lavoro e del progresso, a simboleggiare insomma quella che sarà poi definita la Manchester bresciana.

Le statistiche di fine Ottocento ci confermano che quella non fu una semplice esibizione di bellezza muliebre, ma il riconoscimento del ruolo avuto dalla donna nell’economia locale.

Nel “libro dei matrimoni” dell’archivio parrocchiale, sono indicate, per gli anni 1866-1899, le professioni esercitate dalle spose novelle sono: 337 filatrice,306 operaia,222 contadina,102 possidente,93 cucitrice,29 sarta, 20 civile, 16 ostessa,9 lavandaia, 5 artigiana,4 commerciante,1 orefice. I primi tre dati coprono il 76% delle dichiarazioni e a fronte del 56% fra filatrici e operaie, sta il 20% delle contadine. Al contrario le dichiarazioni dei mariti danno per il 40% contadini e il 14% operai giornalieri.

Nel “quadro descrittivo” delle fabbriche in attività a Palazzolo nel 1890, gli occupati sono 2.055, dei quali 805 maschi (40%) e 1.250 femmine (60%) così suddivisi:calce e cementi: maschi 400,femmine 40;cotonifici: m.101, f.167; setifici m.49, f.851; bottonifici m.171, f.187, altri settori m.84, f.5.

Fin dal sorgere, nella prima metà del secolo XVII°, delle manifatture,le donne furono le prime ad essere impegnate nella trattura e filatura della seta. Se gli uomini erano tutti occupati nel lavoro dei campi, le donne contribuivano col loro impegno in fabbrica ad arrotondare il magro bilancio della famiglia contadina.

Il Galignani nella sua “Historia” della costruzione della nuova parrocchiale, scrive che nel 1751 ” le donne col maneggiar il fuso e le dita filando nei giorni festivi, hanno recato qualche beneficio in quest’anno alla fabbrica suddetta poiché d’utile si è cavato dalla lor filatura scudi 130, tutto che principiato habbino assai tardi a filare”

Per la natura delle fabbriche, che producevano filati di seta,di cotone e bottoni, tali lavori si addicevano più alle abili mani delle donne che non a quelle degli uomini.

Nelle lunghe giornate passate negli stabilimenti, con turni anche di 12 ore il giorno, con un breve intervallo per una frugale minestra o una fetta di polenta, le giovani donne e le adolescenti, assunte in fabbrica, molte volte senza neppure essere passate per la scuola,non potevano dimenticare che, dopo la fabbrica, c’erano pur sempre gli impegni in famiglia.

A queste mansioni erano preparate nell’intervallo del lavoro o nelle ore serali. Provenienti dai paesi vicini,vivevano in pratica in fabbrica dal lunedì al sabato.

“ Queste riunioni di molte giovani per più mesi –scriveva nel 1864 P.Vivenzi- se non sono ben dirette e custodite dai loro padroni, diventano scuole d’immoralità ed occasioni di rovina delle anime. Fra i padroni di questi opifici vi sono alcuni che, intenti solo al lucro materiale, vegliano con cento occhi sul lavoro delle filatrici perché non perdano un minuto e le sete riescano di loro aggradimento; ma non si danno pensiero alcuno della moralità di tante giovani che in quei mesi sono affidate alla loro custodia. Allora si vietava l’ingresso d’estranei nella fabbrica così come l’allontanamento delle lavoratrici,chiudendo a chiave la porta del dormitorio dopo che queste vi si erano ritirate e riaprendola solo all’indomani, affidando poi esclusivamente ai genitori le giovani che di sabato tornavano alle loro case. A questi controlli si aggiungeva un positivo lavoro d’educazione:far recitare le preghiere mattina e sera, il rosario durante la giornata; ai canti profani si sostituivano le canzoni di S.M. Alfonso de Liguori e quelle della Filotea del Riva”. Il risultato di una simile impostazione avrebbe trasformato la filanda in un convento. Nel 1876 poi era nata a Palazzolo anche la Società Operaia Femminile di Mutuo Soccorso per promuovere la previdenza e la mutualità fra le operaie, a cui era garantito un minimo d’aiuto in caso d’infermità.

Nei lunghi anni delle due guerre mondiali del secolo appena trascorso, mentre gli uomini erano al fronte, le donne ne occupavano i posti e svolgevano le loro mansioni, anche in settori non propriamente femminili, come la meccanica.

Album n.3 ipsc,12 gennaio 1996