Il maestro di storia
pubblicato il: 01/06/2012
da: Inedito

Il maestro di Storia

Ruolo degli insegnanti, tra ricerca storica e rispetto dell’ambiente

Il 29 aprile 1891 gli alunni della Regia Scuola Tecnica di Chiari, per una passeggiata ginnastica, arrivarono a Palazzolo e nel Teatro Sociale il loro professore Antonio Frontero lesse “Una pagina di storia municipale” davanti a uno scelto pubblico. Il testo venne poi stampato dalla locale tipografia Maver. Il Frontero dichiarava in appendice che “offre queste poche notizie, raccolte qua e là e collegate ai nostri programmi, spinto dal desiderio di rendere popolare un po’ di storia della gentile loro borgata”.

Di questo fatto, raccontato dalle cronache del tempo, mi piace sottolineare una particolarità: l’appartenenza al territorio in cui si vive è un’occasione motivazionale per lo studio della storia locale.

E così, quando alcuni decenni dopo, nei programmi scolastici, venne introdotto lo studio dell’ambiente, molti maestri si misero “sulle peste del Frontero”. Fu anche una scelta didattico-metodologica: partire alla scoperta dell’ambiente, iniziando dall’intorno più vicino per affinare gli strumenti della ricerca. Non fu certamente facile abbandonare consolidate metodologie e percorrere nuove strade. Nella formazione dei maestri degli anni 50 mancavano strumenti e conoscenze specifiche per avviare gli alunni allo studio dell’ambiente! Ognuno si inventò il suo.

Io, che preferivo iniziare dalla prima classe, scelsi il metodo Freinet colla stamperia scolastica. Era l’anno 1957 e a Pontoglio ebbi a disposizione “il complessino” per avviare gli scolari alla composizione delle righe di testo e alla stampa. Nel gennaio 1959 iniziammo a stampare il giornalino mensile “Intervallo”, quattro pagine corredate da illustrazioni prodotte con incisioni in linoleum.

Sempre a Pontoglio, il collega Bettinelli mi suggerì di iniziare la ricerca storico/ambientale colla visita alle numerose seriole che scorrono nel territorio comunale e mi passò alcune pagine da lui utilizzate nella sua classe. Le “seriole” divenne il centro di interesse di quella mia classe terza.

Negli anni seguenti, anche nelle elementari di Palazzolo, continuai a far funzionare la stamperia scolastica. Al giornalino “Il razzo”, si aggiunsero dei semplici quaderni “Conosci la tua città” con letture e note esplicative sugli aspetti di Palazzolo. Le trentasei pagine tirate al limografo, antenato del ciclostile, erano del 1961, due anni dopo uscì un altro volumetto con pagine composte e stampate dalla nostra stamperia. Cartoline illustrate, recuperate nelle privative o presso parenti, cui si aggiungevano brevi appunti degli alunni, arricchivano i quadernoni di “ambiente”.

La scelta di coinvolgere gli alunni nella costruzione di un prodotto fatto da loro, ma contenente informazioni raccolte e rielaborate dal maestro per adattarle alle loro capacità cognitive, rispondeva all’esigenza di motivare i piccoli studenti, rendendoli attivi nella costruzione del loro sapere e fornendo loro il sostegno di un intervento “esperto” capace di adattare la ricerca storica alla loro età.

I miei alunni hanno conservato e passato ai figli i volumetti che hanno circolato per anni nella scuola. Questi lavori sono diventati i primi titoli della mia bibliografia, infatti nel 1961 le“Esperienze di scuola viva” furono raccontate in un volume di 128 pagine a cura dell’Ispettorato della terza circoscrizione di Brescia.

La passione per la ricerca storica contagiò anche altri colleghi, tanto che insieme realizzammo nel 1962 la Società Storica Palazzolese e l’anno seguente iniziò la pubblicazione della rivista Memorie illustri di Palazzolo.

La necessità di maggiore professionalità crebbe coll’ampliarsi dei campi di ricerca e dalla scuola si estese agli archivi, ai confronti con i pedagogisti e cogli storici. Di fatto sono più di cinquant’anni che “raccolgo qua e là”, come scriveva Frontero, notizie e materiali per un’educazione storica permanente di fanciulli e adulti, perché cresca e si consolidi l’amore e il rispetto sincero verso l’ambiente in cui viviamo.

sta in Memoria, identità e fabbrica, 2012, pp.238-239