Un'incursione di "bravi"
pubblicato il: 04/07/1964
da: La voce di palazzolo
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UNA INCURSIONE DI “BRAVI”

Nei secoli XVII e XVIII la nobiltà bresciana era più prepotente che altrove; del resto nel 1600 era tutto un rigoglio di nobili prepotenti che, ridendosi di leggi e statuti, di “gride” e di intimazioni, con uno schioppo ad armacollo e due “bravi” alla coda si ritenevano padroni di mezzo mondo.

Da qui una sequela di angherie, di soprusi, delitti da farci stupire, ai quali facevano riscontro terribili sentenze, supplizi atroci, feste religiose grandiose e penitenze austerissime.

In questo modo di vivere si inquadra quanto avvenne a Palazzolo il 22 marzo 1618.

I nobili bresciani andavano allora schierandosi o per gli Avogadro o per i Martinengo. Il capo di questi ultimi era il Marchesino Gaspare Antonio che con i bravi della sua banda si faceva ogni giorno più prepotente. Poiché egli si serviva dei corazzieri pagati dalla Repubblica Veneta per soddisfare le proprie vendette, i rettori di Brescia gli avevano intimato che, in pena della pubblica indignazione, “uscisse” dalla città con i suoi dipendenti. Il 24 gennaio egli se ne partì, ma in ogni luogo del contado dove si recava compiva soverchie e delitti e nessuno aveva il coraggio di denunziarlo. Solo il 26 giugno venne presentata denuncia al Podestà di Brescia nella quale era accusato, oltre che per gli altri delitti, di aver fatto ammazzare a Palazzolo il 22 marzo un Ascanio Duranti.

Il suddetto Marchese Martinengo era giunto quel giorno in paese accompagnato da una ventina dei suoi famosi e violenti “bravi”, ben armati e decisi a far giustizia dell’Ascanio Duranti, forse perché favorevole agli Avogadro.

Lo scontro a fuoco avvenne sulla Riva, nei pressi dell’abitazione del Duranti che, con alcuni dei suoi si era difeso e, prima di cadere sotto i colpi degli avversari, era riuscito ad uccidere un bravo del Martinengo, un certo Francesco Riva.

A seguito dello scontro a fuoco, intervenne il Giudice delle ragioni che, per documentare un’eventuale azione legale contro il Martinengo, fece rinchiudere il cadavere del Riva in castello, per il suo riconoscimento.

Sennonché il Martinengo, per togliere dalle mani della giustizia una prova schiacciante contro di lui, organizzò per il giorno dopo la scalata al castello ad opera dei suoi bravi che, superate nottetempo le mura, asportarono il cadavere del Riva.

Per questo fattaccio il Consiglio dei Dieci di Venezia aveva delegato i Rettori di Brescia a far giustizia. Essi il 30 giugno mandarono la documentazione del fatto perché decidesse il da farsi. Il 3 luglio il Consiglio intimò al Marchese Gaspare Antonio di trasferirsi a Venezia, ma egli continuò a spadroneggiare infischiandosene degli ordini del Consiglio che però il 23 dicembre ne ordinò l’arresto, unitamente alle ventidue persone della sua banda. Il Marchese venne rinchiuso nei “camerotti” a Venezia dove lo troviamo ancora il 19 dicembre 1619, data in cui ottenne dal Consiglio dei X un compagno di prigione.

La Voce di Palazzolo, 4 luglio 1964